lunedì 26 ottobre 2009

l'autunno, il nostro

Il tramonto dietro le montagne arriva alle quattro.
Eccolo, l'autunno.
Lo vedo ora, seduta sul piccolo pontile di un lago della valchiusella, tra colline che cambiano colore ad ogni sguardo.
Il silenzio è assoluto. Tutto è fermo, l'aria è fredda, e il sole così basso, negli occhi, fa male.
Il cielo è vuoto quest'oggi.
L'autunno è qua perchè alle quattro il sole già scende, ma la giornata è ancora serena. Questa luce si taglia tra le foglie per portare quaggiù un pò del loro colore. Si sacrifica per il loro colore.
Silenzio. Ogni tanto il verso lontano di un'anatra.
Ma questa luce non scalda.. Sembra quasi una strana notte.
Di fianco a me, seduto, mio nonno. Guardiamo nella stessa direzione, guardiamo la superficie dell'acqua.
Con lo sguardo malinconico e fisso del rinunciatario, lui. Di quei rinunciatari però cui non è concesso nemmeno il lusso della rabbia per non averci provato. Ci ha provato, lui, per tutta la primavera, per tutta l'estate, finchè le foglie stavano su, floride di clorofilla. Chissà se c'è riuscito.
Ora le foglie sono gialle, o rosse, nel migliore dei casi. Non riesco a capire se mi sembri profondamente sereno o immensamente triste.
Fissiamo l'acqua non cercando nulla. Solo scavando enormi buche. Gallerie nella mente, nella memoria. L'autunno è straordinario perchè ti fa fare questo. Te lo permette.
Eccolo, l'autunno.
Lo vedevo scendere sul suo volto, nei giochi di luci e ombre tra le rughe della sua fronte. Tra le rughe dei suoi occhi nebbiosi. Nei pochi capelli grigi, rade nuvole di una domenica pomeriggio di ottobre. Attende l'inverno ora lui, guardandosi indietro.
Nell'umido silenzio di questa luce discontinua e forte le nostre menti viaggiano.
Parallele.
-Ci ho provato. E ci sono riuscito.- vorrei che mi dicesse
-Ho portato un sacco di meravigliose foglie, all'autunno.
Lo so.
Aspettiamo insieme di veder cadere la prossima foglia.











(le dediche non sono il mio forte, forse questa persona di cui parlo ne è uscita male,da questo post. o forse no. comunque gli voglio bene,immensamente, anche se accettare il suo inverno è e sarà più difficile del vivere la mia primavera)

giovedì 22 ottobre 2009

le giornate grigie

Le giornate grigie le riconosco.
Sono quelle giornate in cui fa buio anche in casa, anche a mezzogiorno. E quando anche accendi la luce beh, fa più buio ancora, con la luce.
Le giornate grigie sono molto più straordinarie delle altre, perchè diventa tutto grigio, in quelle giornate grigie. Tutto dentro e fuori.
Supplichi una botta di vita, da qualcuno, da qualcosa in quelle giornate.
Ma nel frattempo queste giornate grigie sono talmente straordinarie che rendono grigio anche te. E te ne guardi bene,dalle botte di vita. Ben ben lontano dalla vita, mi raccomando. Fuggi.
Sul divano. Sulla sedia. A letto.
Le giornate grigie ti fanno scappare a casa.

mercoledì 21 ottobre 2009

limite

Era una giornata come tutte le altre, o per lo meno così sembrava.
Quella mattina Paul si svegliò con la ferma intenzione di cambiare la sua vita. Sono pensieri che a 15 anni vengono spesso, ma capii che stavolta faceva sul serio. Erano mesi che diceva che era stufo di sentir parlare di limiti, che non voleva più essere uno qualunque e passare giorno dopo giorno non vivendo, ma solo esistendo. Era da un po’ che diceva che avrebbe voluto diventare qualcuno, o anche solo avere uno scopo per cui vivere, non andando a scuola perché era normale che alla sua età lo facesse, o passando i suoi pomeriggi davanti all tv, sprecando il suo tempo come gli adolescenti pigri che spesso guardava con disprezzo.
Mi chiesi cosa lo avesse portato a queste riflessioni, la sua era una vita normale: scuola, amici il sabato sera, un fratello, una situazione economica agiata…E mi chiesi anche cosa avrebbe fatto. Mistero svelato quando disse che si era iscritto in una squadra di basket. Sua madre continuava a dire che alla sua età era tardi per cominciare, lei che era stata una campionessa lo sapeva bene, e che era facile a 15 anni farsi prendere dai sogni e rimanere delusi se non si riescono a realizzare. Arriverò in nazionale anche io raccontava Paul la sera agli amici tra una birra e l’altra. Io cercavo di impedirglielo, ma sapevo bene che Paul aveva una marcia in più degli altri quanto a forza di volontà. E se voleva una cosa la raggiungeva cominciando con l’abbattere i limiti mentali che diceva essere la vera rovina della nostra società. E così tutti i pomeriggi andava agli allenamenti con autobus così affollati che non gli era sempre facile prendere, con me, e arrivato a casa continuava a giocare in cortile: lui, il pallone ed io.
Quando non riusciva ad andare in palestra si allenava con i pesi a casa e intanto metteva su delle spalle invidiabili. L’allenatore diceva che aveva talento, e lui passò da riserva a titolare, dai campionati provinciali a quelli regionali, dai regionali ai nazionali. Lui, il pallone, ed io.
Era arrivato dove voleva e la sua prima partita in nazionale cadeva nel giorno del suo diciottesimo compleanno. Io lo guardavo, assistevo al momento più magico della sua vita.
Quando l’arbitro fischiò l’inizio della partita Paul mi guardò negli occhi e capì che diciotto anni prima eravamo nati insieme ma che solo uno di noi sarebbe morto quella sera. E quella sera lui avrebbe cominciato a vivere. Così mentre lui abbassava le braccia e cominciava a far girare le ruote della sua carrozzella io, il suo limite, capii di essere stato sconfitto.
E morii.
Lui, il pallone…e basta.

lunedì 19 ottobre 2009

il nasino di Mattia.


Mi distraggo un attimo e quando mi giro c'è Mattia per terra a pancia in su con le mani sulla faccia che singhiozza visibilmente, anche a dieci metri di distanza, da sotto i pali da cui io sto guardando la partita.
Mattia: Otto anni, corporatura media tendente al minuto, carino, biondino, intelligenza 10, creatività nel gioco 8, velocità 9, ambizioso, competitivo al massimo, agonistico. A volte mi sembra quasi cattivo, fa quasi paura. Esperienza di gioco, 7 allenamenti.
Gli vado incontro, di solito i bambini si lamentano per nulla.
-Alzati Matti dai che la squadra ha bisogno di te, siamo vicini alla meta, è nostra.
Toglie le mani dalla faccia, nulla. Si alza in lacrime e appena è in posizione verticale..fiumi di sangue dal naso. Rosso perso. A fiotti. Oh cazzo! Eh no Matti! No, no, smetti di piangere almeno, se non capisco più nulla nemmeno io. Il mio giocatore migliore, relazionando tempo di allenmaneti e risultati. Cazzo.
Usciamo dal campo, fazzoletti, acqua, acqua, fazzoletti, sangue, sangue, sangue. Non mi fa senso il sangue, ma avere le mani piene di sangue di un bambino devo dire che mi fa sentire davvero troppo comunista. Cazzate a parte, fa davvero impressione.
Dal campo arrivano di corsa Pietro, Elia e Alessandro.
Pietro:Otto anni, corporatura minuta,molto molto minuta, una specie di criceto, bellino,moro moro,intelligenza non lo so ma follia 10+, passa le partite a urlare in momenti casuali e gli allenamenti a fare la haka, non che a fare capriole cantando Hanno ucciso l'uomo ragno nel bel mezzo di ogni azione clou. Molto veloce, creatività 8, trova i buchi della difesa anche dove non ci sono, occhi e mani sempre sulla palla. Esperienza di gioco 5 allenamenti.
Elia:Nove anni, il giocatore perfetto. Intelligenza 10, creatività 7,più che altro è un tecnico, chiama schieramenti, paura del contatto -1, efficacia dei placcaggi 90%, chiama schieramenti, sprona i compagni, dà pacche sulle spalle anche a quelli a cui cade la palla perchè inciampano nei loro stessi lacci. Esperienza di gioco 3 anni.
Alessandro:Nove anni, ciccione, rosso paonazzo,biondo, stupido ma molto dolce. Gioco di peso, di sfondamento. Lui chiude gli occhi e con la palla in mano calpesta anche l'arbitro, quando fa meta gli vengono gli occhi lucidi di gioia. Placcaggio buono, non sempre efficace, ma quando li prende oh,se lo sentono. Esperienza di gioco 2 anni.
-Cosa ci fate qua?
Pietro dice che Matti è il suo migliore amico e non lo lascia solo e che suo padre è un dottore delle ossa.
-E allora vallo a chiamare dai.
Elia vuole solo guardare come sta il suo secondo centro. Alessandro vuole aiutare il suo amichetto narrando di aver visto in tv un servizio di un tizio che in una rissa si è rotto il setto nasale di cui la parte fratturata gli è entrata nel cervello uccidendolo.
-Ragazzi,ma che cazzo ci fate qua? Stiamo giocando in tre in meno! Siamo sotto di 6 mete, vi pare il caso di uscire dal campo così?!? Dentro!!!!!!!!
Loro chiaramente entrano in campo per chiamare tutti gli altri che vengano a vedere il sangue di Mattia.
-Ragazzi,in campo!!! Vi pare il caso!!! Si lo so arbitro, mo arrivano tutti, scusa. Anche dall'arbitro ci deve cazziare?! In campo, e voglio almeno vedere due mete!Sveglia!!
Arriva la mamma di Mattia-e mo son cazzi che volano, pensa la sottoscritta. Ma lei è una buona donna "Amore se facevamo un corso di taglio e cucito non capitava, son cose che capitano nel FUTBOL.." EH no!!! Eh no signora però!! Va beh. La sorellina sostiene che si pianterebbe un ago in un occhio ad un corso di taglio e cucito. Ci sta come tesi.
Il naso smette di sanguinare, Matti riprende colore, e inizia a tifare, carico perso. Vuol erientratre in campo per spezzare il ginocchio che ha tentato di spiegarmi come è finito sul suo ex bel nasino.
-No Matti lascia stare, sei stato straordinario, hai fatto un sacco di mete perciò va benissimo così, sono orgogliosa Matti, davvero.
Gli basta mezz'ora e Mattia si spegne. Col pacchetto di ghiaccio sul naso fissa il vuoto e a chi gli chiede se sia spaventato dice solo "NO, però c'era troppo sangue..."
La partita non è persa, di più. Luca, l'altro allenatore, urla ogni genere di bestemmia contro ragnetti pieni di terra sempre più in confusione, c'è chi si mangia la maglia, chi si schiera con l'altra squadra, chi passa il suo tempo in fuori gioco, chi cerca di allaciarsi le scarpe da dieci minuti almeno. Chi canta hanno ucciso l'uomo ragno, chi guarda la partita del campo di fianco.
E intanto dall'altra squadra grandinano mete.
L'altra squadra è il Cus Torino, hanno tre squadre diverse per ogni categoria perchè sono troppi, tutti enormi, tutti vestiti di nero, non ne sbagliano mezza, allenati da un tizio che penso li chiami SOLDATO BIANCANEVE o PALLA DI LARDO. Prima di giocare contro di loro ogni volta ci sono bambini che scappano in lacrime, perchè non vogliono perdere. Nemmeno il naso.
La partita finisce, tutti negli spogliatoi. La giornata finisce, anche per l'allenatrice Valeria, che sale sul suo magico macchinone senza salutare nessuno. Il padre di Pietro sostiene che il naso non fosse rotto, il medico del posto dice di si. La madre è preoccupata, ma non stupita, e non ce l'ha con me se non altro.
Valeria torna a casa e si sente in colpa. Lei non stava guardando quando è successo, lei gli ha detto di mollare la palla sono quando si è sicuri di lasciarla ad un proprio compagno in consegna, lui non ha lasciato la palla agli avversari e ha spalmato il suo bel nasino su un ginocchio nero. E le mie mani e i miei pantaloni ora erano sporchi del suo sangue. Male, non mi piace che finisca così.
E Valeria stasera per scrivere questo stupido pezzo non l'ha chiamato per sapere come stava.
Ma se l'avesse fatto avrebbe voluto che Mattia fosse adulto per cinque minuti per capire queste parole:
Non fa male Matti, non fa male. E' il rugby, è sangue.E' un gioco veloce, di attimi, di scatti, di fotografie perfette che montano l'armonico film di un'azione perfetta. Ma non tutti i momenti sono perfetti. Lo diventano solo se il finale è una meta. E non è stato il tuo caso Matti, il tuo momento non è stato perfetto, è stato uno dei tanti non perfetti che sanno di terra e di sangue ma che rendono ancora piu perfetti i miglioramenti, le mete. Tu oggi sei stato nella foto sbagliata, ma non ti spaventare. Si chiama caso, non farti spaventare da lui e torna a giocare, per favore. Se facevi un corso di taglio e cucito non capitava, ma tu hai fatto la scelta giusta, questo è lo sport, questa è la metafora di vita. E tu sei la mia promessa magica. Perchè nella mia breve carriera di allenatrice ne ho viste poche di fotografie perfette, Elia, Paolo, Stefano, Sebastiano, Enrico, Noah, ma oggi lo sei stato tu, il mio orgoglio. La tua corsa, un pò laterale,ma buona, i tuoi occhi che fissano sempre là, dopo la linea. Non è da tutti sai, puntare là.. alla tua età puntano tutti al punto dietro l'avversario, ma voi promesse no, vi riconosco perchè voi fissate la meta. E' stata solo una polaroid non asciugata bene, quel nasino che sanguinava. Capita. Ma non ti spaventare Matti, non smettere di giocare, per favore. Ci vediamo sabato pomeriggio allora eh, Matti? Ciao..
TU TU TU TU..

domenica 11 ottobre 2009

Sai come ti vogliono.
Sai cosa vogliono da te.
Sai come ti vuole il mondo.
Beh tu daglielo, credici, diventalo.
Ma sappi sempre che sono due piani separati. Sappilo sempre.
Non arrivare mai a credere che sia quello che vuoi tu.

venerdì 9 ottobre 2009

non vorrei essere fraintesa

Vorrei scrivere qualcosa di politica. Saper parlare di tutta questa merda in cui galleggia questo vecchio e bucato stivale che gioca a pigliare a calci in culo le isole.
Commentare, dire qualcosa che non sia stato detto, o comunque almeno qualcosa di originale.
Ma mi sembra tutto così assurdo, così paradossale, che le mie tesi contrarie a questa realtà assurda e paradossale mi sembrano così banali, ovvie, scontate.
Inoltre non vorrei essere fraintesa: laddove mi mettessi a parlare di leggi e/o di diritto costituzionale non vorrei che si pensasse che sono professionalmente deformata.
Se mi lanciassi in invettive o arringhe di vario tipo per esprimere le mie attuali opinioni non vorrei che si pensasse che sono la solita sinistroide media che per conformismo o per posa o per idiozia si schierano sempre dalla parte di chi si lamenta.
Se poi parlassi con la razionalità analitica e distaccata dei giornalisti, non vorrei mai che non si percepisse il mio odio. Non vorrei che cadesse a lato. Che perdesse il suo ruolo di protagonista. Questo sarebbe un pessimo fraintendimento.
Il più delle volte inoltre le mie tesi tendono ad essere incoerenti non tanto tra di loro quanto ripetto alle ideologie di dottrina sotto le quali tali e tante tesi vengono solitamente annoverate.
Infine quasi tutte le volte che ho una opinione a riguardo- più o meno supportata dalle nozioni che ho in materia- so individuare i problemi, spesso ne so vedere -o almeno ipotizzare credibilmente- delle cause, ma non ho soluzioni.
Tipo i vecchi al bar che si lamentano dell'umidità, dell'inflazione, del caldo, delle tasse, del freddo, della badante, del nuovo ct.
..Però non vorrei essere fraintesa: non ho mai detto di essere una rassegnata cinica indifferente cittadina media.
Ho piuttosto detto che il premier è un mafioso.
Ma non fraintendetemi, volevo dirlo nel senso di dire che Giorgio si nutre di bambini. Ma non mi fraintendete, non lo fa allo stesso modo del papa.
E la Carfagna è diversamente intelligente, diversamente brutta, diversamente casta e diversamente selfmadewoman. Il che chiaramente non vuole affatto dire gnocca, imbecille, puttana da tornei e pompinara raccomandata su una poltrona costosa. Affatto.
Ecco perchè tendo a non riuscire a scegliere come parlare di politica.
Non vorrei essere fraintesa con l'utilizzo del termine politica.
Intendo quella cosa lì quando la chiamo così.
Venite tutti avanti, voi, con il naso corto.
Signori imbellettati..io più non vi sopporto.
Infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio
perchè, con questa spada, vi uccido quando voglio.

lunedì 5 ottobre 2009

deliri di una pausa pranzo

Sono uscita da due ore di dottrina dello stato e sono salita sul tram. Qui ho iniziato a filosofeggiare su metodologie ed epistemologie varie, e li per li mi sono sembrati pensieri intelligenti.. diciamo apprezzabili ecco.
E mi sono buttata ancora vestita e digiunante al computer per formalizzarli il prima possibile. Prima ovvero che se andassero, con la velocità solita di ogni mia riflessione intelligente.
In effetti già solo il tempo che sto usando per questa introduzione li fa scappare sempre piu lontano.
Tenterò.

Il problema è valutare una teoria sulla base delle soluzioni che offre una volta portata alle sue estreme conseguenza. Io tendo a prendere in considerazione entrambi gli aspetti. Ovvero. Premesse-ragionamento-conseguenze-conclusioni. Mi piacciono le conclusioni? No? allora via le basi, via le premesse. Zero coerenza di fondo, tutto può essere messo in discussione e se lo si fa si deve partire dalle basi. Si devono minare le basi dell'edificio, farle saltare, per poi credere di costruire su un terreno vergine.
Questo è positivo intellettualmente. Scientificamente. Metodo tipicamente filosofico che porta le scienze filosofiche ad essere tendenzialmente prive di teorie finali unitarie e concordanti.
Ma a livello personale è un grande problema. Porta imprevedibilità, incoerenza. Vulnerabilità, ipersensibilità
Parto da presupposti che sono sempre pronta a mettere in discussione. (Per quanto l'imprevedibilità non sia così assoluta e onnicomprendente in quanto il metodo di ragionamento, le categorie usate sono poi sempre le stesse, fondamentalmente quelle dal nesso causa-effetto)
E poi, circa a Porta Palazzo, mi son trovata a pensare che però questo potrebbe apparire del tutto incompatibile con le mie teorie sugli effetti. Vado a cercare e a minare le premesse quando gli effetti non tornano, almeno non come vorrei. Questo fa si che io in effetti (ah ah ah) non ignori del tutto le cause, il background, il substrato.
Mmmmm... (in effetti il mio stupirmi delle incoerenze della mia epistemologia quotidiana è incoerente col fatto che mi sono appena autoproclamata incoerente. Quindi la cosa non mi stupisce, per ora).
Però ne ho anche tratto delle conclusioni, che più che teorie sono legittimazioni del mio modo di intendere e pensare il mondo, le persone e i rapporti.
L'autolegittimazione è la mia forma preferita di autoerotismo (mentale?).
E posso affermare (coerentemente?) che:
-il metodo mettiamoindiscussionelepremesse è filosofia. E' il mio essere filosofica, è il mio osservare, associare, sintetizzare, speculare sul mondo esterno. E' un metodo scientifico, una forma mentale, una lente di osservazione dalla quale -non so se potrei, ma comunque tendo a non prescindere;
-il partire dagli effetti dei comportamenti miei e degli altri,dai risultati di un metodo o di un assioma ignorandone i punti di partenza, è un metodo comportamentale. E' uno step successivo. E' un modo di affronatre le cose a livello pratico, non teorico,non puramente limitato al pensiero, anzi, del tutto proiettato sull'azione. Senza teoreticismi. L'agire in base ai soli effetti, in base solo a ciò che ha pratiche conseguenze, tanto empiriche da essere oggettive e oggettivabili (almeno per i più) in modo da rendere razionalmente prevedibile ogni conseguenza ulteriore di quelle che già sono conseguenza.
Il che non è del tutto incoerente come sistema. Lo sarebbe se fosse applicato nei medesimi momenti, alle stesse situazioni, o se pretendesse di essere parimenti applicabile, in ogni sua sfaccettatura, ad ogni rapporto reale, con il reale. Non è incoerente nei termini in cui mi pongo in modo diverso in due momenti mentali diversi, applicando ovvero l'un metodo in uno, l'altro nell'altro. Il fatto poi che il primo, applicato al mio solo pensiero e non alla mia azione, renda il mio comportamento talvolta incoerente beh, è un problema degli altri, o meglio di chi come me si regola solo sugli effetti, comportamentisticamente. E gli effetti sarebbero poi i miei comportamenti, i miei modi di agire. In un modo penso, in un altro modo mi comporto : agisco prendendo gli effetti- i soli sui quali mi posso scientificamente basare- come premesse; se poi volessi applicare la prima forma mentis al comportamento mi troverei in difficoltà, non potendo minare i paradigmi di base che, manco a dirlo, non dipendono da me.

Tutto ciò non ha minimamente senso e lo so, ma devo tornare a lezione perciò non ho tempo nè di correggerlo nè tantomeno di cercare di renderlo comprensibile a tutti. E nemmeno a qualcuno. E nemmeno a me stessa. Diciamo che do fiducia ai lettori e alla loro capacità di andare oltre il mio scrivere di getto. Molta di più di quella che do a me stessa.

Detto ciò la conclusione-non che leit motiv- della riflessione consiste nel fatto che i rapporti UNO ad UNO, tra due singoli individui, al di fuori delle dinamiche di un gruppo, sono (più) difficili e (più) complessi perchè da questi rapporti ci si aspetta sempre qualcosa. Tendiamo ad avere bisogno di formalizzarli, di dargli un nome, spesso (purtroppo?) di dargli un fine. Sin da subito. Questa necessità di schematizzazione, di inclusione in determinati preschemi, li rende estremamente complessi. Ognuno ha aspettative e delusioni continue, presunzioni e sussunzioni il più delle volte erronee nei termini in cui non essendo espresse non possono essere nè confermate nè delegittimate tempestivamente, prima di dare luogo a conclusioni le cui base sono instabili e controproducenti.
E questo li rende anche estremamente più affascinanti, perchè misteriosi.
Voi non state davvero guardando..voi volete essere ingannati.
E questo rende l'amicizia più facile dell'"amore". E le amicizie di lunga data più semplici e rassicuranti.

Cazzo devo andare-senza pranzo-senza doccia-senza aver comprato nuovi fogli su cui scrivere.

venerdì 2 ottobre 2009

è un paese per vecchi

Questo è un paese per vecchi. Alice Superiore.


Attraversi il paese - centro- municipio- Società, poi Cavalice sulla sinistra.


Mezza curva, stop. Freccia a destra e su, salita. Salita salita però, salita vera, di quelle che la seconda il più delle volte non riesci a metterla, fino oltre la metà almeno, devi aspettare il cimitero, per la seconda. Questa strada in salita è stata per anni uno dei miei "posti" preferiti. Stretta, dritta, senza righe bianche- gli alberi -castagni per lo più, e betulle- si toccavano sopra la tua testa, perciò quella starda non era mai al sole.
Da piccola mi ci portava il nonno a strappare dai muretti di pietra le radici di liquirizia- che per altro nemmeno mi piacevano, mi affascinava solo l'idea, e poi andava sempre a finire che stavo male tutta la notte.


Niente di più buio di quella strada, di notte. Roba da perdere l'equilibrio.


E, in punta, il cimitero.


Ho incontrato una persona lungo quella strada. O meglio ne ho incontrate tante, ma questa è quella che ho conosciuto meglio.
Era una bambina, quando l'ho conosciuta.


Ogni sua fantasia, ogni suo senso del gotico, della paura e del fascino per la paura, ogni pensiero sulla morte, sui fantasmi o su qualunque altra cosa grigia e bellissima vi venga in mente hanno avuto per lei come scenario quel piccolo cimitero.


A cinque anni ha letto il suo prima libro, un "piccoli brividi"- con gran crepacuore di sua madre che ha tentato invano di propinargli battelli a vapore di vario genere-, ed era una bambina bruttina, malaticcia e con i capelli a spazzola che parlava solo di morti, tombe, fantasmi e..partigiani.


Già, perchè mentre zompettava per mano al nonno mangiucchiando la sua insulsa radice, lui raccontava. Sempre le stesse storie, da anni, sentite e risentite, oggi. Raccontava di guerra, tedeschi, fucili.


Le passeggiate proseguivano poi in solitaria, per loro. Lui scendeva,verso casa, lei proseguiva su.


Un pò oltre il cimitero, prima della chiesa, svolti a sinistra e vedi, in mezzo alla radura più nightmarebeforechristmas della storia una croce di pietra per terra. E le è stato raccontato spesso del prete, freddato la domenica mattina all'uscita dalla messa dai tedeschi, dopo un ridicolo tentativo di fuga in mezzo a quegli alberi..si diceva nascondesse armi inglesi, sotto gli altari. E allora beh, lei avrebe voluto vivere li. A nove anni, tutto la annoiava, gli adulti sono l'errore più assurdo del creato, e avrebbe solo voluto vivere in quel momento speciale, assurdo, sanguinario e vivo- non le interessava nemmeno come, se essere quello che imbraccia il fucile o l'eroe che cade.

Era assurdo, nel sentirla parlare, capire quanto le piaceva quella croce. Cazzo, quanto le piaceva.. Non aspettava altro che scappare di casa e andare a fissarla. Per poi fare un giro li intorno, e poi intorno alla chiesa, a cercare le tracce dei tedeschi -illusa,come se fossero stati assassini che fuggivano di nascosto cercando di camuffare le loro tracce; in realtà sicari della legge-.
Lì di fianco la chiesa, dicevo. Nulla di che, incastrata in una boscaglia che da dietro sembra volersela ingoiare. Umida e banale; davanti un viale perfettamente diritto la congiunge al cimitero.
Se mettessero le rotelle alle bare potrebbero andare a seppellirsi da sole,finiti i funerali.
Il campanile della chiesa domina il paese intero.-Alto, imponente, invadente. Penetrante. Suona -e ha sempre suonato- ogni ora, ogni ora e cinque minuti, ogni ora e mezza -da una a dodici volte. Poi trenta rintocchi alle sette e mezza del mattino e della sera, per far sapere ai contadini senza orologi quando un buon cristiano deve iniziare a lavorare, e quando deve smettere.
Nulla di pù adatto per questo paese per vecchi, e per bambini.
Comunque. Prima tappa croce, trovati e giustiziati i tedeschi cecchini di Don Gedda via, al cimitero.
E quando come lei hai nove anni, e sai mille di queste storie, e il paese è tutto il giorno grigio e deserto, e puoi entrare in un cimitero..beh, sei felice.
Io do questo ai bambini cazzo, altro che caramelle, altro che cartoni animati. Queste sono le mie caramelle per te, piccola. E starò attento ad ascoltare quello che raccontate, e che montate, mettete insieme, con queste vostre vecchie storie, potreste rivelare l'essenza della realtà meglio di chiunque.
Allora lei entrava nel cimitero e iniziava la sua scelta, tra i loculi e le tombe.
Quelli con le foto a colori erano morti qualunque, di quelli nuovi nuovi, delle cui malattie la mamme e la nonna parlano al pranzo di Natale e a Pasqua son già morti -o quelli di cui vedi gli incidenti x strada con tua madre che incuriosita passando guarda, ipotizza, commenta sconvolta, con convinzione di compassione, assassina di ogni pudore.
Ma quelli con le foto in bianco e nero...wow.
Quelli si che dovevano essere persone speciali. E allora lei riscriveva la storia della loro vita : eroi, briganti, trafficanti di armi, partigiani burberi ed eremiti, soldati inglesi biondi e belli.
Le donne poi. Nelle foto in bianco e nero hanno tutte gli stessi occhi. O tristi, o cattivi.
Eccoti, un'altra caramella.
Avvelenatrici dei loro mariti, contadine analfabete che sgobbando trovavano tesori immensi, sotto la meliga. Ragazze che nascondevano volantini da portare a Traversella nelle notti, senza paura del buio. Del resto, col senno di poi, lei aveva paura del buio perchè aveva il terrore dei fantasmi, e i suoi fantasmi erano loro. Ma quelle ragazze erano senza passato. Senza fantasmi, costruivano futuri. Mentre ora questo paese per vecchi in effetti ha solo più un passato.
Sopra l'entrata del cimitero stava l'Angelo. Angosciante e magico. Silenzioso. Era lui, si diceva, ad aprire i cancelli del cimitero solo a chi aveva storie straordinarie sulla propria vita da raccontargli- con cui dilettarlo. Si annoiava, lassù, altrimenti.
Addirittura si narra di sepolture miseramente fallite -nonostante fosse già avvenuta la raccomandazione delle buonanime alla pace eterna- perchè quel cancello si era incastrato. L'Angelo non li lassciava entrare, se ne fregava di cosa aveva appena detto il prete.
Il Caronte di Alice Superiore- e niente monete sugli occhi, pagamento di pedaggio- che mancassero a quei cadaveri. Ignoranza, fantasia, leggende -e caso- , quassù si servono solo di un pò di ruggine nella serratura.
E non erano i cattivi, a non entrare- solo le persone banali. Squartatori tedeschi e spie riposano lì, ora, ma le persone normali no. Questo però a nove anni non la faceva temere per la pace della sua anima, perchè lei non era una qualunque: lei era l'unica che conosceva la vera storia. Quella di quella lapide che trasuda verde muffa, quella di quello strano lamento notturno che nessuno sa dire di che animale sia.. perchè è della donna che in guerra ha perso il figlio - e che ancora vaga urlando a tutti i preti che passano di lì "perchè?".
Una bambina li in mezzo trova la chiave di lettura. Anzi, ce l'ha dentro. E poi legge tutto così.
Ogni oggetto antico, tutti quei fienili aperti, con la loro polvere, e i soffitti alti. Ogni foto, ogni finestra senza vetri, ogni scritta sui muri. Le date sopra ai portoni, o incise nel legno. Gli alberi, i bastoni, i sassi, i tetti crollati.
Le vecchie cantine in mezzo ai boschi divorate dalle more - erano tutti speciali. Avevano storie straordinarie, affascinanti, tutte legate tra loro. Leggende popolari e personaggi appena inventati, storie che hanno fatto la storia e storie personali. Amalgamate, confuse, tutte a creare questo vapore che impregna di muffa le tombe e fa ghiacciare di rugiada quel prete - che sapeva di avere i minuti contati, sapeva che qualcuno era andato giù, alla caserma dei fascisti a spifferare tutto. Allora aveva fatto allonatanare a forza i chirichetti, ragazzini, quattro che non capivano, prima di iniziare a correre..e tra loro c'era anche Giovanni..Giovanni Gaido, che aveva visto il suo sangue, sai piccola?
Le veniva da piangere, a sentire quella storia. E non di commozione. Una sorta di rabbia infantile, di invidia e nostalgia, come quella che provano i vecchi; perchè guardava il suo nonno e gli chiedeva "perchè eri tu quel chirichetto, e non io? Volevo esserci io..".
Ma la verità era che quel giorno c'era lei. E lui anche. Aveva sentito talmente tante volte quella storia, e talmente tante l'aveva immaginata, che l'aveva fatta rivivere, alla fine. Con lei quei tedeschi lo hanno inseguito di nuovo, ucciso di nuovo. E lui era scappato ancora, e quei chirichetti avevano sgranato gli occhi ancora di più. E lei c'era, lei era memoria della storia e della guerra quanto suo nonno. Ogni volta lei e suo nonno avevano otto anni insieme.
Questo è un paese per vecchi e per bambini.
Le cose sono invecchiate ma sono quelle di allora. Sono i fienili aperti, le porticine di legno marcio nel sottobosco.Sono gli stessi quei tetti di pietra, le erbacce e la chiesa dove fa freddo tutto l'anno, con quelle fineste a rasoterra che danno sui sotterranei, sicuramente ancora pieni di armi inglesi per partigiani dei boschi.
Le persone normali, i grandi, non vivono qua.
Abitano queste case, girano queste strade, dirigono questo comune. Ma non sanno nulla, della storia. Ci provano, coi libri, con le fotografie, con gli incontri..ma è inutile, non la vedono, la storia. Non la vedono come i vecchi almeno, nè come i bambini.
Le strade qui sono sempre vuote, le vecchie indossano gli stessi panni di allora, si siedono sui bordi delle strade, fissano vuote le nmacchine passare, ma non le vedono -per un secondo le vedono, le criticano, acide, ma poi smettono, tornano nella storia, e ricominciano ad ignorarle.
Non vedono il ridicolo cartellone luminoso sulla piazza, nè i parcheggi, nè le parabole. Guardano il vuoto e si vedono vivere di nuovo- ricordano, ma sono lì. Rivivono. E raccontano. E anche i bambini allora intraprendono con loro questo viaggio da cui questi grandi sono esclusi.
Questi boschi, questi soldati, queste case, sono le stesse. Sono fantasmi, ma sono lì, ci sono.
E chi sta agli estremi opposti della vita li può vedere, chi ci sta in mezzo no, troppo occupato a vivere il presente per ricordare il passato. O reinventarlo.
E' un paese per bambini perchè saranno pure piccoli, ma anche loro vedono la guerra, vedono la storia straordinaria, nazionale e quortidiana, di ideologie e di fame, di galline rubate e cartoline per la leva. Di vittoria e figli morti.

L'ho conosciuta, quella bambina. E ho trattato la storia che mi raccontava con la tipica ironia, col finto stupore sulla faccia e con il sorriso falso. Ma lei me la raccontava come fossero verità per eletti. Per menti sopraffine degne di vivere davvero la storia - qualunque significato si voglia dare alla parola storia.
Ma si sbagliava, lei, a darmi fiducia. E mi sbagliavo io, a non darne a lei.
Aveva la verità in bocca, cazzo, e io non lo sapevo. Ero ormai troppo grande.
Ora quella bambina è cresciuta, e si annoia anche un pò in quel paese, in quella vecchia casa, con quel vecchio solaio- pieno di oggetti tarmati da storie straordinarie che nei cigolii della notte cerca ancora di raccontarle. Lei non le sente più, però.
Non parla più quella lingua.
Si annoia e ironizza, si chiude il naso per evitare l'odore della polvere e della muffa.

Ma la notte ha ancora paura del buio.
Quando cammina per strada la sera e sente i rumori nei boschi.. beh, sarà il buio, sarà l'atmosfera, saranno i pipistrelli, racontatele quello che vi pare..
Ma lei sa che l'unica vita di questo paese, le uniche percone che la vivono, gli hanno dato e gli stanno dando una storia, sempre la stessa. Che è realtà.
Lo è finchè c'è memoria e finchè c'è fantasia. Finchè ci son vecchi e finchè ci son bambini.
Per questo sa che quei rumori sono partigiani vestiti di velluto e fustagno, che fumano Nazionali e masticano radici di liquirizia e fiori di sambuco.
E ha paura, li sente. E ha paura che, nella notte, la prendano per un tedesco.