"..quella birra che si beve in campeggio prima di andare a farsi la doccia dopo una giornata di mare."
l'immagine piu bella dell'ultimo periodo,che io ricordi.grazie a chi ha mai bevuto quella birra con me,a chi lo farà,a chi ha detto questa frase,e alla birra
lunedì 17 maggio 2010
domenica 21 marzo 2010
finchè non lo provi
Siamo tutti promotori di amore, di comprensione, tollleranza, diplomazia. E viviamo 363 giorni all'anno in base ad almeno uno di questi principi, credendoci, sforzandoci di essere comprensivi, credendo di esserlo, e con la convinzione -fondata, direi- che questo ci renda delle persone migliori.
Ma arriva il giorno in cui qualcosa ti bussa alla porta. E può essere un dolore acutissimo, o una scelta difficilissima che però sei costretto a fare, può essere un errore, o il caso. In ogni caso quando accade e tu per la prima volta, inconsapevole, vergine e ingenuo, apri.. Beh, allora ti colpisce l'odio. Finchè non lo provi e lo disprezzi perchè, per sentito dire, sai che è sbagliato, e scorretto, e distruttivo come acido, sei una brava persona, ma non lo conosci.
Sei uno che vota a sinistra senza aver mai letto Marx. Non sai di cosa stai parlando, il più delle volte manco sai cosa stai provando, vivendo.
Perchè l'odio è una cosa straordinaria. E rendersene conto offre una forza altrettanto eccezionale e irresistibile, che devi sapere come usare, incanalare.
E' una delle irrazionalità più tali che esistano, come un sogno, come una crisi di panico.
Lividi e lacerazioni ti straziano la pelle che hai dentro e fanno talmente male che ti stupisci di come non solo tu non stia urlando di dolore, ma tu stia addirittura sorridendo. E' un godimento malato e morboso, tanto più insano quanto più credi che non dovresti farlo.
E ne diventi schiavo. In positivo o in negativo. O perchè quel brivido che ti da sai che è sbagliato ma arriverà, prima o poi, di nuovo, il momento in cui cederai e lo andrai a ricercare, o magari attenderai paziente che sia lui a trovare te, perchè sai che lo farà.
Oppure ne sarai schiavo perchè cadrai nel patetico tentativo di evitarlo, reprimerlo, sfuggirgli, essere superiore, e questo ti porterà a pensare a lui molto più che mai, molto più degli altri, molto più del normale.
Ma finchè non lo provi, o magari non ne hai consapevolezza, ti senti migliore. E nella metà dei casi non sei migliore, sei solo più fortunato, o più ingenuo. Spesso io stessa ho creduto che giustificare e capire, comprendere e sapere che avrei potuto essere come la persona che odio mi allontanassero dall'odio stesso, tenessero la mia tanica di benzina a distanza di sicurezza dalla fiamma.
Beh non è così.
Quando hai aperto la porta e ormai l'hai provato, l'odio, diventi solo più bravo a scindere razionale da irrazionale, ma il segnare confini netti rende entrambi quegli aspetti più efficienti, rende gli spazi netti e questo gli da la possibilità di estremizzarsi.
Quando odi e ti vergogni di odiare sai spiegare agli altri i tuoi sentimenti argomentando che non sono quello che loro definiscono odio. E' un cancro, che quando per curarlo perdi i capelli e ti metti una parrucca novanta su cento la parrucca è più bella dei tuoi capelli veri. Almeno per chi non sa che la indossi e perchè la indossi.
Il buonismo è una posa, una delle più bastarde, perchè chi la assume meglio è quasi sempre chi in realtà conosce meglio di tutti ciò che nega e nasconde.
Ma arriva il giorno in cui qualcosa ti bussa alla porta. E può essere un dolore acutissimo, o una scelta difficilissima che però sei costretto a fare, può essere un errore, o il caso. In ogni caso quando accade e tu per la prima volta, inconsapevole, vergine e ingenuo, apri.. Beh, allora ti colpisce l'odio. Finchè non lo provi e lo disprezzi perchè, per sentito dire, sai che è sbagliato, e scorretto, e distruttivo come acido, sei una brava persona, ma non lo conosci.
Sei uno che vota a sinistra senza aver mai letto Marx. Non sai di cosa stai parlando, il più delle volte manco sai cosa stai provando, vivendo.
Perchè l'odio è una cosa straordinaria. E rendersene conto offre una forza altrettanto eccezionale e irresistibile, che devi sapere come usare, incanalare.
E' una delle irrazionalità più tali che esistano, come un sogno, come una crisi di panico.
Lividi e lacerazioni ti straziano la pelle che hai dentro e fanno talmente male che ti stupisci di come non solo tu non stia urlando di dolore, ma tu stia addirittura sorridendo. E' un godimento malato e morboso, tanto più insano quanto più credi che non dovresti farlo.
E ne diventi schiavo. In positivo o in negativo. O perchè quel brivido che ti da sai che è sbagliato ma arriverà, prima o poi, di nuovo, il momento in cui cederai e lo andrai a ricercare, o magari attenderai paziente che sia lui a trovare te, perchè sai che lo farà.
Oppure ne sarai schiavo perchè cadrai nel patetico tentativo di evitarlo, reprimerlo, sfuggirgli, essere superiore, e questo ti porterà a pensare a lui molto più che mai, molto più degli altri, molto più del normale.
Ma finchè non lo provi, o magari non ne hai consapevolezza, ti senti migliore. E nella metà dei casi non sei migliore, sei solo più fortunato, o più ingenuo. Spesso io stessa ho creduto che giustificare e capire, comprendere e sapere che avrei potuto essere come la persona che odio mi allontanassero dall'odio stesso, tenessero la mia tanica di benzina a distanza di sicurezza dalla fiamma.
Beh non è così.
Quando hai aperto la porta e ormai l'hai provato, l'odio, diventi solo più bravo a scindere razionale da irrazionale, ma il segnare confini netti rende entrambi quegli aspetti più efficienti, rende gli spazi netti e questo gli da la possibilità di estremizzarsi.
Quando odi e ti vergogni di odiare sai spiegare agli altri i tuoi sentimenti argomentando che non sono quello che loro definiscono odio. E' un cancro, che quando per curarlo perdi i capelli e ti metti una parrucca novanta su cento la parrucca è più bella dei tuoi capelli veri. Almeno per chi non sa che la indossi e perchè la indossi.
Il buonismo è una posa, una delle più bastarde, perchè chi la assume meglio è quasi sempre chi in realtà conosce meglio di tutti ciò che nega e nasconde.
sabato 20 marzo 2010
forse il relativismo
Mi trovo a domandarmi come sia possibile che io e un'altra persona che viviamo una qualunque cosa da due lati diversi, opposti, possiamo vederla allo stesso identico modo.
Non riesco a capire come sia possibile che parlando d'amore, in una frase, una persona che si trova in una posizione opposta, contrapposta e complementare alla mia, possa dire di questo amore esattamente ciò che avrei voluto saper dire io. Quando io sono un carnefice e lei una vittima, ad esempio.
Mi chiedo se non sia una specie di cubismo sentimentale, emozionale, percui vediamo tutti i lati di una cosa ammassati lì in un nonsense nel quale però c'è una, seppur bassissima, probabilità che due persone ci leggano la stessa cosa, ci vedano la stessa cosa.
Mi chiedo se piuttosto non stiamo fissando qualcosa che è come una ruota, che gira, percui tutti i lati prima o poi passano da tutti, si fanno vedere da tutti, e quindi è facile che le opinioni si conformino, sul lungo termine, perchè avremo prima o poi tutti le stesse informazioni. O magari qualcosa tipo una sfera, una biglia, che cambia direzioni e riflessi, ma è poi tutta uguale, e a prenderla in mano non le si saprebbe trovare un senso, un dritto, un rovescio.
Mi domando se piuttosto non stiamo guardando entrambi la medesima cosa, da due macchine diverse verso lo stesso schermo, e non stiamo facendo le stesse identiche cose, comportandoci allo stesso modo, però il nostro bisogno di darci un ruolo ce lo faccia dare diverso, perchè si, perchè sulla scacchiera i colori sono due, e se non sei il bianco sei per forza il nero, e non puoi essere quello rosso che invece sta giocando ad un altro gioco, perchè ti ci hanno incastarato, in quella scacchiera, e tu c'hai creduto. Sei convinto di non poter uscire, da quella scacchiera, ci hai creduto. E poi magari sei solo in piedi sullo zerbino del suo bagno.
Mi chiedo se magari stiamo facendo le stesse mosse, ci stiamo comportando allo stesso modo, perciò è ovvio che diamo la stessa lettura. Solo che sono le altre persone con cui ci rapportiamo, a comportarsi in modo diverso tra loro, dando ai nostri racconti finali diversi, e questo fa sentire diversi noi, tra di noi.
Non riesco a capire come sia possibile che parlando d'amore, in una frase, una persona che si trova in una posizione opposta, contrapposta e complementare alla mia, possa dire di questo amore esattamente ciò che avrei voluto saper dire io. Quando io sono un carnefice e lei una vittima, ad esempio.
Mi chiedo se non sia una specie di cubismo sentimentale, emozionale, percui vediamo tutti i lati di una cosa ammassati lì in un nonsense nel quale però c'è una, seppur bassissima, probabilità che due persone ci leggano la stessa cosa, ci vedano la stessa cosa.
Mi chiedo se piuttosto non stiamo fissando qualcosa che è come una ruota, che gira, percui tutti i lati prima o poi passano da tutti, si fanno vedere da tutti, e quindi è facile che le opinioni si conformino, sul lungo termine, perchè avremo prima o poi tutti le stesse informazioni. O magari qualcosa tipo una sfera, una biglia, che cambia direzioni e riflessi, ma è poi tutta uguale, e a prenderla in mano non le si saprebbe trovare un senso, un dritto, un rovescio.
Mi domando se piuttosto non stiamo guardando entrambi la medesima cosa, da due macchine diverse verso lo stesso schermo, e non stiamo facendo le stesse identiche cose, comportandoci allo stesso modo, però il nostro bisogno di darci un ruolo ce lo faccia dare diverso, perchè si, perchè sulla scacchiera i colori sono due, e se non sei il bianco sei per forza il nero, e non puoi essere quello rosso che invece sta giocando ad un altro gioco, perchè ti ci hanno incastarato, in quella scacchiera, e tu c'hai creduto. Sei convinto di non poter uscire, da quella scacchiera, ci hai creduto. E poi magari sei solo in piedi sullo zerbino del suo bagno.
Mi chiedo se magari stiamo facendo le stesse mosse, ci stiamo comportando allo stesso modo, perciò è ovvio che diamo la stessa lettura. Solo che sono le altre persone con cui ci rapportiamo, a comportarsi in modo diverso tra loro, dando ai nostri racconti finali diversi, e questo fa sentire diversi noi, tra di noi.
martedì 16 marzo 2010
non contraddizione
Sto seguendo delle lezioni che mi fanno fare dei viaggi mentali assurdi, non so se ascrivibili nella categoria "filisofia" o "diritto" o "delirio".
Una delle più interessanti è partita dall'analisi del principio di non contraddizione.
Non sono in grado di sostanzializzare il problema in altro modo che non sia esporre il problema stesso, fiduciosa che a me e a chiunque vengano in mente domande e magari risposte strada facendo.
(Anche se in effetti in facoltà mi si è modificata la mente in modo tale che leggo tutto nell'ottica del diritto, dello stato, della democrazia, e mi sembra strano che in modo non altrettanto ovvio, spontaneo, essenziale gli altri non lo facciano. Che gli altri non prestino attenzione a questi aspetti.)
Perciò, di tanto in tanto, mi scapperà qualche considerazione, forse.
Comunque.
Il problema si è posto in questi termini, a partire dal consumato paradosso del bugiardo che dichiara di mentire:
SE IO SONO TOLLERANTE DEVO TOLLERARE ANCHE GLI INTOLLERANTI.
Se io sono democratico, liberale, o checazzodidirsivoglia, devo tollerare chi odia ebrei, neri, omossessuali, islamici, donne, o chiunque abbia gli occhiali.
E devo accettare, credere, essere intimamente persuaso del fatto che la sua opinione valga quanto la mia. Che la sua idea possa essere, sostanziata dai suoi argomenti, oggettiva tanto quanto a me sembrano esserlo le mie convinzioni.
E qua si irradiano problemi infiniti.
Dov'è il confine tra la tolleranza e il relativismo assoluto?
Siamo tutti, in fondo, intolleranti, per il solo fatto di non tollerare gli intolleranti?
L'odiarli ci rende come loro?
Sono ipotesi terribili e non è, purtroppo solo un gioco di parole, risolvibile con l'espediente pratico del fatto che si parla di concetti assoluti e puri che nella realtà non si realizzano.
La soluzione appare essere intolleranti, almeno un po', per tutelare se stessi.
Ricadere ancora un po' più in basso nell'egoismo e nella miope diffidenza aggresiva dei razzisti.
Ma soprattutto, la democrazia che ruolo ha in tutto ciò?
Una democrazia che reprima l'intolleranza, in quanto moralmente riprovevole in modo riconosciuto da tutti, tradirebbe la sua essenziale natura. Ma non può, del resto, dare alle minoranze pari rappresentatività delle maggioranze?
Qual'è lo spazio che delle minoranze antidemocratiche devono trovare all'interno della democrazia?
E la democrazia deve offrire a queste istanze spazi di espressione?
Quanto è il diritto di questi eventuali gruppi a trovare e richiedere spazi di movimento nella democrazia?
La verità temo che sia che per tutelare noi stessi, per sopravvivere, come stato o come persone, per autoconservarci , dobbiamo cercare ogni giorno compromessi. Con gli altri, con le cose che degli altri non ci piacciono, con la burocrazia. Con lo Stato. Ma soprattutto con noi stessi.
Una delle più interessanti è partita dall'analisi del principio di non contraddizione.
Non sono in grado di sostanzializzare il problema in altro modo che non sia esporre il problema stesso, fiduciosa che a me e a chiunque vengano in mente domande e magari risposte strada facendo.
(Anche se in effetti in facoltà mi si è modificata la mente in modo tale che leggo tutto nell'ottica del diritto, dello stato, della democrazia, e mi sembra strano che in modo non altrettanto ovvio, spontaneo, essenziale gli altri non lo facciano. Che gli altri non prestino attenzione a questi aspetti.)
Perciò, di tanto in tanto, mi scapperà qualche considerazione, forse.
Comunque.
Il problema si è posto in questi termini, a partire dal consumato paradosso del bugiardo che dichiara di mentire:
SE IO SONO TOLLERANTE DEVO TOLLERARE ANCHE GLI INTOLLERANTI.
Se io sono democratico, liberale, o checazzodidirsivoglia, devo tollerare chi odia ebrei, neri, omossessuali, islamici, donne, o chiunque abbia gli occhiali.
E devo accettare, credere, essere intimamente persuaso del fatto che la sua opinione valga quanto la mia. Che la sua idea possa essere, sostanziata dai suoi argomenti, oggettiva tanto quanto a me sembrano esserlo le mie convinzioni.
E qua si irradiano problemi infiniti.
Dov'è il confine tra la tolleranza e il relativismo assoluto?
Siamo tutti, in fondo, intolleranti, per il solo fatto di non tollerare gli intolleranti?
L'odiarli ci rende come loro?
Sono ipotesi terribili e non è, purtroppo solo un gioco di parole, risolvibile con l'espediente pratico del fatto che si parla di concetti assoluti e puri che nella realtà non si realizzano.
La soluzione appare essere intolleranti, almeno un po', per tutelare se stessi.
Ricadere ancora un po' più in basso nell'egoismo e nella miope diffidenza aggresiva dei razzisti.
Ma soprattutto, la democrazia che ruolo ha in tutto ciò?
Una democrazia che reprima l'intolleranza, in quanto moralmente riprovevole in modo riconosciuto da tutti, tradirebbe la sua essenziale natura. Ma non può, del resto, dare alle minoranze pari rappresentatività delle maggioranze?
Qual'è lo spazio che delle minoranze antidemocratiche devono trovare all'interno della democrazia?
E la democrazia deve offrire a queste istanze spazi di espressione?
Quanto è il diritto di questi eventuali gruppi a trovare e richiedere spazi di movimento nella democrazia?
La verità temo che sia che per tutelare noi stessi, per sopravvivere, come stato o come persone, per autoconservarci , dobbiamo cercare ogni giorno compromessi. Con gli altri, con le cose che degli altri non ci piacciono, con la burocrazia. Con lo Stato. Ma soprattutto con noi stessi.
martedì 9 marzo 2010
pagelle di bardonecchia
Chiara 7
La sottoscritta oservatrice si è persa la fase precedente all'averla trovata già esondante il troppo alcool, ma già solo il gesto, onorevole e valoroso, le fa vincere la sufficienza. La lamentela continua, diurna e notturna, fa scendere la valutazione, ricordandoci il Ronaldo dei tempi migliori, sulla carta un vincente, ma sempre con qualcosa che non andava. Dopo averci abituati a prestazioni fantasmagoriche, impavida e vincente dinnanzi ai tomi di diritto privato e commerciale, vederle comparire il terrore negli occhi di fronte ad una pista ha deluso i tifosi, in aspettativa. La debolezza comunque tende a scatenare l'istinto materno-protettivo del sesso femminile, soddisfando il bisogno continuo di essere utili alle amiche, quindi ha reso il gioco un po' più vivo, offrendo occasioni svariate di innalzare il livello dei discorsi e dei predicozzi. La sottoscritta e Violetta sono esonerate da questo discorso, trascinate dalle danze nel baratro delll'ignoranza. Notevole il gusto per il Barbera, un pò di fisipoterapia e sara una campionessa come nuova.
Diego 8.5
Il camaleonte, il libero della squadra. Tra mani alzate e amici che fanno complimenti alla sua (esistente?) fidanzata, il nostro puledro di razza più pura si districa con elegante agilità, offrendo al pubblico tutto ciò che si poteva pretendere. I lunghi momenti di stasi e osservazione attenta del gioco convulso degli altri si sono alternati, preparandogli il campo, a momenti di straordinaria follia, danze scatenate e imitazioni magistrali. Il prestigiatore delle uscite giuste al momento giusto, offre ai compagni di spogliatoio assist che non si possono fallire, ma il merito dei goal ètutto suo suo. Avrebbe da insegnare un po di quest'arte a tutti noi. Atleta pressochè perfetto sulle piste (con la nota eccellente dello stile dei pantaloni), lo è stato anche nella vita di tutti i giorni, dalla spesa all'organizzazione della giornata, fino alla ricerca di improbabili fuoripista. Immagine perfetta del suo essere adattabile e mai inopportuno è il fatto che sia riuscito a fare il sonnellino contemporaneamente con me e con Violetta.
Ferdinando 9.5
L'uomo del sud è il giocatore brasiliano che arriva in Italia e tutte le squadre vorrebbero: noi sappiamo giocare, ma la patria del giuoco ha visto nascere lui nel suo seno, e noi non possiamo che ammirare e usufruire di ciò che porta con se'. Ovvero sorrisi. E cipolle. Lui si che si sa divertire, e l'abbiamo notato anche dall frequenza delle alzate di mano. Il coraggio, l'ostinazione, la noncuranza e la perseveranza con i quali ha affrontato la grande sconosciuta Neve gli fanno vincere di diritto il posto in nazionale. Quando apre bocca il divertimento è assicurato. Anche perchè quando apre bocca, se non è per parlare, è per mangiare. O bere. O fumare. Il fascino della borghesia che si mischia con i divertimenti dionisiaci dei gelidi uomini del nord gli fa guadagnare una delle valutazioni più alte.
Luisa 8.5
Il suo sorriso è stato il sole che temevamo di non vedere. La sua bellezza e la sua grazia nel gioco la pervadono non solo in campo ma anche negli spogliatoi: calzettoni e pantaloni della tuta le stanno meglio che a me un vestito di Armani. La classe non è acqua, del resto. Però non è nemmeno minestrone, dai. E' vino. Bianco, per la precisone, raffinato e frizzante. Prendendosi carico degli infortunei degli altri, dimostra il suo attaccamento indispensabile alla squadra, la quale le è grata più che a chiunque, ma la fanno di tanto in tanto eclissare nei suoi pensieri. Il savoir faire e la capacità di spiccare la denotano anche sulle piste: i fuoripista sono affronatati con la determinazione di chi crede in se stessa e di chi sa di essere circondata da perosne che credono in lei. L'abbinamento snow blade-racchette è il tocco di stile di chi non sbaglia mai un colpo e della donna che non deve chiedere mai. Nemmeno il posto nel lettone, che anche il più integerrimo maschilista le concede senza batter ciglio, abbagliato dalla sua luce.
Marco 8,5
L'attaccante, la punta di sfondamento. I coniglietti della duracell gli fanno 'na pippa, l'esuberanza che non ha fine, il giocatore che corre ovunque ci sia il pallone, per non perdersi mai nemmeno un'azione della partita. Si è dimostrato polivalente al di là delle aspettative, buono in ogni ruolo: sciatore, costituzionalista, autista, ballerino, uomo di casa, giornalista da rassegna stampa, cuoco, bevitore, e gestore dei postumi. Solo non proprio giocatore di tabù, ha suscitato l'ira dei suoi alleati illusi, chè avrebbero perso lo stesso. I tratti angelici di un viso etereo ingannano l'avversario, in modo da dargli la tranquillità per addormentarsi, e coglierlo vulnerabile nel momento del risveglio. Allora con il ghigno della iena intona la sua canzoncina, attacco oculato e letale che spiazza ogni difesa. Poliedrico fino in fondo, l'intellettuale di sinistra sfodera una passione per la peggio tamarria hard core e per i peggio cantautori italiani che nemmeno mia zia zitella. Ma il suo ruolo è stato imprescindibile e irrinunciabile. Come imprescindibile e irrinunciabile era che si sottoponesse alla doccia, nonostante la resistenza iniziale. Ma a noi si sa, la Resistenza ci piace.
Valeria 9
Il meraviglioso viso del divertimento, l'energia pura. Unica fornitrice di metodi di divertimento alternativi e di tette, ha ormai fidelizzato il suo pubblico, che non può più fare a meno della sua presenza in campo, costante e sempre energica, importante perchè sempre adatta al momento e al contesto. Offre sempre ai tifosi lo spettacolo di una partita perfetta, fatta di confidenze e risate mozzafiato, discorsi seri e cazzate monumentali. Il rischio di imparzialità della sottoscritta non mi fa comunque risparmiare di definirla giocatrice brillante e intelligente: è raro che anche con impulsivi di colpi di testa non centri la rete, per portare tutti in vantaggio. Sa trasformare ogni gesto assurdo in uno spettacolo che nessuno, trascinato, riesce a rimproverargli. E mi riferisco al suo passato da tamarra sfasciona spaccona da discoteca. Nonostante il maggior entusiasmo e l piu dolce affetto li riservi solo alla vista dei cani, non nega a nessuno consulenze psicologiche di grande valore e competenza. La poca fiducia nella sottoscritta, nel fatto che la avrebbe portata solo in piste che è in grado di fare, l'ha convinta comunque a sfidare i suoi limiti, rendendola in due soli giorni una sciatrice da scudetto, non ancora da champions. Nota di demerito (e avvertenza per altre eventuali squadre interessate all'acquisto): per farla alzare bisogna farle credere che sono le 11. In ogni caso, anche se è mezzogiorno. E non rivelarle la realtività del tempo prima di averle dato un caffè e una sigaretta.
Valeria 8
Giocatore di fascia, fa le prudenti raccomandazioni al suo autista sotto la neve, alla sua allieva sciatrice, raccoglie le code del gruppo con una pazienza e una costanza invidiabili, dati da anni di esperienza in famiglia. Ottimo giocatore sulle piste, ha però continuativamente esagerato con l'esposizione vanitosa e orgogliosa della sua decennale esperienza sciistica, sino ad annoiarsi da sola. L'apparente posatezza razionale, responsabile e diplomatica, viene sempre meno di fronte al vino rosso, al buon cibo, e ai plumcake Mulino Bianco, e alla compagnia giusta, ai quali proprio non sa resistere. E allora in modo esagerato e grottesco spesso, si lascia andare ad entusiasmei danzerini,canterini,parlantini. Per finire sempre con l'uomo del sud a riempirsi il bicchiere a vicenda e ad ostentare il giorno dopo occhiaie degne del miglior Dario Argento. Nel contesto squadra si crogiola sempre con gli occhi che brillano e il cuore pieno di gioia, per ingozzarsi il più possibile di ogni momento in cui si è insieme e fare discorsi di qualsiasi tipo con chinque. E per alzare la mano. E' il giocatore che ad ogni conferenza stampa dichiara che non abbandonerà mai la maglia. La maglia, perchè il reggiseno lo divide con Ferdi. Pessima nella scelta dei vagoni del treno.
Violetta 9.5
La padrona perfetta della casa perfetta, non solo ha fornito consulenze straordinarie sul poco orientamento della squadra, ma non si rende mai ansiosa nè pesante nei confronti della preservazione della propria dimora :una volta tolte le scarpe casa sua è casa tua. Oltre al grande atto di fiducia del lasciare noi vandali liberi di pascolare nella luminosa entrata, ha dimostrato le capacità di un'amicizia mai invadente, ma sempre presente in modo discreto e adeguato. Amicizia fatta di esperienze e sensazioni condivise, di cui si puo parlare con naturalezza. Ultimo glorioso acquisto del team, non solo non ha deluso chi su di lei ha investito, ma, bruciando le tappe, è diventata un pilastro del centrocampo, il membro che non ti dimentichi mai quando devi elencare la formazione. Spiazzando tutti ha dimostrato di sapersi divertire in modo sfrenato (non solo alzando le mani in momenti inaspettati e proponendo giochi quantomeno equivoci), fatto non intuibile ne' sospettabile, data la sua abituale compostezza e il suo fascino carico di femminilità. Insomma, la sorpresa nel vederla urlare domani smetto è stata la conferma finale di averle firmato il contratto giusto, per un rapporto destinato a durare nel tempo.
La sottoscritta oservatrice si è persa la fase precedente all'averla trovata già esondante il troppo alcool, ma già solo il gesto, onorevole e valoroso, le fa vincere la sufficienza. La lamentela continua, diurna e notturna, fa scendere la valutazione, ricordandoci il Ronaldo dei tempi migliori, sulla carta un vincente, ma sempre con qualcosa che non andava. Dopo averci abituati a prestazioni fantasmagoriche, impavida e vincente dinnanzi ai tomi di diritto privato e commerciale, vederle comparire il terrore negli occhi di fronte ad una pista ha deluso i tifosi, in aspettativa. La debolezza comunque tende a scatenare l'istinto materno-protettivo del sesso femminile, soddisfando il bisogno continuo di essere utili alle amiche, quindi ha reso il gioco un po' più vivo, offrendo occasioni svariate di innalzare il livello dei discorsi e dei predicozzi. La sottoscritta e Violetta sono esonerate da questo discorso, trascinate dalle danze nel baratro delll'ignoranza. Notevole il gusto per il Barbera, un pò di fisipoterapia e sara una campionessa come nuova.
Diego 8.5
Il camaleonte, il libero della squadra. Tra mani alzate e amici che fanno complimenti alla sua (esistente?) fidanzata, il nostro puledro di razza più pura si districa con elegante agilità, offrendo al pubblico tutto ciò che si poteva pretendere. I lunghi momenti di stasi e osservazione attenta del gioco convulso degli altri si sono alternati, preparandogli il campo, a momenti di straordinaria follia, danze scatenate e imitazioni magistrali. Il prestigiatore delle uscite giuste al momento giusto, offre ai compagni di spogliatoio assist che non si possono fallire, ma il merito dei goal ètutto suo suo. Avrebbe da insegnare un po di quest'arte a tutti noi. Atleta pressochè perfetto sulle piste (con la nota eccellente dello stile dei pantaloni), lo è stato anche nella vita di tutti i giorni, dalla spesa all'organizzazione della giornata, fino alla ricerca di improbabili fuoripista. Immagine perfetta del suo essere adattabile e mai inopportuno è il fatto che sia riuscito a fare il sonnellino contemporaneamente con me e con Violetta.
Ferdinando 9.5
L'uomo del sud è il giocatore brasiliano che arriva in Italia e tutte le squadre vorrebbero: noi sappiamo giocare, ma la patria del giuoco ha visto nascere lui nel suo seno, e noi non possiamo che ammirare e usufruire di ciò che porta con se'. Ovvero sorrisi. E cipolle. Lui si che si sa divertire, e l'abbiamo notato anche dall frequenza delle alzate di mano. Il coraggio, l'ostinazione, la noncuranza e la perseveranza con i quali ha affrontato la grande sconosciuta Neve gli fanno vincere di diritto il posto in nazionale. Quando apre bocca il divertimento è assicurato. Anche perchè quando apre bocca, se non è per parlare, è per mangiare. O bere. O fumare. Il fascino della borghesia che si mischia con i divertimenti dionisiaci dei gelidi uomini del nord gli fa guadagnare una delle valutazioni più alte.
Luisa 8.5
Il suo sorriso è stato il sole che temevamo di non vedere. La sua bellezza e la sua grazia nel gioco la pervadono non solo in campo ma anche negli spogliatoi: calzettoni e pantaloni della tuta le stanno meglio che a me un vestito di Armani. La classe non è acqua, del resto. Però non è nemmeno minestrone, dai. E' vino. Bianco, per la precisone, raffinato e frizzante. Prendendosi carico degli infortunei degli altri, dimostra il suo attaccamento indispensabile alla squadra, la quale le è grata più che a chiunque, ma la fanno di tanto in tanto eclissare nei suoi pensieri. Il savoir faire e la capacità di spiccare la denotano anche sulle piste: i fuoripista sono affronatati con la determinazione di chi crede in se stessa e di chi sa di essere circondata da perosne che credono in lei. L'abbinamento snow blade-racchette è il tocco di stile di chi non sbaglia mai un colpo e della donna che non deve chiedere mai. Nemmeno il posto nel lettone, che anche il più integerrimo maschilista le concede senza batter ciglio, abbagliato dalla sua luce.
Marco 8,5
L'attaccante, la punta di sfondamento. I coniglietti della duracell gli fanno 'na pippa, l'esuberanza che non ha fine, il giocatore che corre ovunque ci sia il pallone, per non perdersi mai nemmeno un'azione della partita. Si è dimostrato polivalente al di là delle aspettative, buono in ogni ruolo: sciatore, costituzionalista, autista, ballerino, uomo di casa, giornalista da rassegna stampa, cuoco, bevitore, e gestore dei postumi. Solo non proprio giocatore di tabù, ha suscitato l'ira dei suoi alleati illusi, chè avrebbero perso lo stesso. I tratti angelici di un viso etereo ingannano l'avversario, in modo da dargli la tranquillità per addormentarsi, e coglierlo vulnerabile nel momento del risveglio. Allora con il ghigno della iena intona la sua canzoncina, attacco oculato e letale che spiazza ogni difesa. Poliedrico fino in fondo, l'intellettuale di sinistra sfodera una passione per la peggio tamarria hard core e per i peggio cantautori italiani che nemmeno mia zia zitella. Ma il suo ruolo è stato imprescindibile e irrinunciabile. Come imprescindibile e irrinunciabile era che si sottoponesse alla doccia, nonostante la resistenza iniziale. Ma a noi si sa, la Resistenza ci piace.
Valeria 9
Il meraviglioso viso del divertimento, l'energia pura. Unica fornitrice di metodi di divertimento alternativi e di tette, ha ormai fidelizzato il suo pubblico, che non può più fare a meno della sua presenza in campo, costante e sempre energica, importante perchè sempre adatta al momento e al contesto. Offre sempre ai tifosi lo spettacolo di una partita perfetta, fatta di confidenze e risate mozzafiato, discorsi seri e cazzate monumentali. Il rischio di imparzialità della sottoscritta non mi fa comunque risparmiare di definirla giocatrice brillante e intelligente: è raro che anche con impulsivi di colpi di testa non centri la rete, per portare tutti in vantaggio. Sa trasformare ogni gesto assurdo in uno spettacolo che nessuno, trascinato, riesce a rimproverargli. E mi riferisco al suo passato da tamarra sfasciona spaccona da discoteca. Nonostante il maggior entusiasmo e l piu dolce affetto li riservi solo alla vista dei cani, non nega a nessuno consulenze psicologiche di grande valore e competenza. La poca fiducia nella sottoscritta, nel fatto che la avrebbe portata solo in piste che è in grado di fare, l'ha convinta comunque a sfidare i suoi limiti, rendendola in due soli giorni una sciatrice da scudetto, non ancora da champions. Nota di demerito (e avvertenza per altre eventuali squadre interessate all'acquisto): per farla alzare bisogna farle credere che sono le 11. In ogni caso, anche se è mezzogiorno. E non rivelarle la realtività del tempo prima di averle dato un caffè e una sigaretta.
Valeria 8
Giocatore di fascia, fa le prudenti raccomandazioni al suo autista sotto la neve, alla sua allieva sciatrice, raccoglie le code del gruppo con una pazienza e una costanza invidiabili, dati da anni di esperienza in famiglia. Ottimo giocatore sulle piste, ha però continuativamente esagerato con l'esposizione vanitosa e orgogliosa della sua decennale esperienza sciistica, sino ad annoiarsi da sola. L'apparente posatezza razionale, responsabile e diplomatica, viene sempre meno di fronte al vino rosso, al buon cibo, e ai plumcake Mulino Bianco, e alla compagnia giusta, ai quali proprio non sa resistere. E allora in modo esagerato e grottesco spesso, si lascia andare ad entusiasmei danzerini,canterini,parlantini. Per finire sempre con l'uomo del sud a riempirsi il bicchiere a vicenda e ad ostentare il giorno dopo occhiaie degne del miglior Dario Argento. Nel contesto squadra si crogiola sempre con gli occhi che brillano e il cuore pieno di gioia, per ingozzarsi il più possibile di ogni momento in cui si è insieme e fare discorsi di qualsiasi tipo con chinque. E per alzare la mano. E' il giocatore che ad ogni conferenza stampa dichiara che non abbandonerà mai la maglia. La maglia, perchè il reggiseno lo divide con Ferdi. Pessima nella scelta dei vagoni del treno.
Violetta 9.5
La padrona perfetta della casa perfetta, non solo ha fornito consulenze straordinarie sul poco orientamento della squadra, ma non si rende mai ansiosa nè pesante nei confronti della preservazione della propria dimora :una volta tolte le scarpe casa sua è casa tua. Oltre al grande atto di fiducia del lasciare noi vandali liberi di pascolare nella luminosa entrata, ha dimostrato le capacità di un'amicizia mai invadente, ma sempre presente in modo discreto e adeguato. Amicizia fatta di esperienze e sensazioni condivise, di cui si puo parlare con naturalezza. Ultimo glorioso acquisto del team, non solo non ha deluso chi su di lei ha investito, ma, bruciando le tappe, è diventata un pilastro del centrocampo, il membro che non ti dimentichi mai quando devi elencare la formazione. Spiazzando tutti ha dimostrato di sapersi divertire in modo sfrenato (non solo alzando le mani in momenti inaspettati e proponendo giochi quantomeno equivoci), fatto non intuibile ne' sospettabile, data la sua abituale compostezza e il suo fascino carico di femminilità. Insomma, la sorpresa nel vederla urlare domani smetto è stata la conferma finale di averle firmato il contratto giusto, per un rapporto destinato a durare nel tempo.
sabato 20 febbraio 2010
quando torna il parcheggio
E' una vita che mi dico che devo un pezzo al carnevale. Glielo devo. Ma non sono mai stata in grado di scriverlo..ne ho scritti molti, diversi, li ho uniti, li ho riseparati.
Labor limae.
Ma alla fine nel rileggerli era sempre come se non ci fosse tutto, sempre come se fissare delle emozioni in itinere facesse perdere loro sostanza, come se fosse un obiettivo talmente utopico da lasciare una sporca traccia di pennello laddove credevi di aver dipinto un capolavoro.
E poi ho capito che miravo troppo in alto, tentando di predere il carnevale come una entità astratta, superiore, sufficiente a se stessa e descriverla, parlarci. Non ne sono capace, è troppo per me.
Abbassabndo il tiro, mi sono guardata intorno e dentro, un martedì qualunque, in un vicolo qualunque, con un qualunque bicchiere di vin brulè, insieme a due amici qualunque, con dolori e arance ovunque. Ho visto quella me che diceva loro che gli voglio un bene che va oltre l'immaginabile. Almeno per me stessa. Va oltre cio di cui credevo di essere capace, diciamo.
E mi è venuto da piangere. E tra quelle lacrime, stupide, che mentre tornavo in mezzo all'onda rossoverde potevano essere scambiate per succo di arancia che brucia gli occhi fino a non farti vedere piu nulla...ho capito.
Ho capito che il carnveale è fatto di persone, senza le quali non esisterebbe, a partire dal popolo in rivolta di due secoli fa, fino al popolo in delirio di oggi. E ho capito che tutto ciò che posso permettermi di fare -che sono in grado di fare- è parlare con queste persone. Di emozioni che capiscono, che condividono.
Di bicchieri che si condividono e di follie che si capiscono.
Di eccezioni che ci si regala perchè ci si capisce, perchè se si sovverte in noi stessi ciò che di solito è normale a carnevale ci si rende normali.perchè essere folli è l'unico modo di essere come gli altri,e di essere se stessi. Del fatto che noi siamo il popolo in rivolta, del fatto che stiamo facendo la nostra piccola, inutile, rivoluzione, per ricordarne un'altra fatta sempre da persone, anche se non come noi, anche se migliori di noi.
Vorrei ringraziarvi ad uno ad uno, amici, ma non posso, e non voglio scadere nel banale, anche se c'è il rischio che io lo abbia gia fatto.
Vi ringrazio perchè ogni anno, quando rientro in Borghetto, mi sembra di tornare a casa.
Quegli abiti strani, che si mettono una volta l'anno per tre giorni su 365, quell'odore forte che pervade tutto e tutti: le piazze, il bagno di casa, i capelli. Quelle orde di sconosciuti con le facce viola e i nasi sangunanti, i campanelli e le sensazioni aspre del vin brulè.
Queste cose sono ciò che di più famigliare mi possa accogliere.
Perchè lì mi sento al mio posto.
Perchè sento che questo è ciò che farei se fossi completamente libera di scegliere qualunque cosa della mia vita. Questi gli abiti che sceglierei, queste le persone, questi i gesti, e gli odori.
Perchè quei movimenti assurdi, dallo slancio delle braccia e delle spalle alla camminata mai stabile, mai frontale, mai comoda, che mi fa uscire fuori asse il ginocchio ad ogni passo, sono movimenti che non si fanno mai, e il giorno dopo ti fanno annegare nelll'acido lattico, ma che ritrovo sempre e comunque nel bagaglio del mio istinto.Vi ringrazio perchè sceglierei forse anche il freddo, da cui ci si nasconde tutto l'anno, ma che fa parte del gioco, e te ne puoi lamentare, ma lo puoi ignorare.
Vi ringrazio, perchè a carnevale posso essere il contrario di quello che sono tutto l'anno, ed è questo contrario che mi fa stare bene. Vi ringrazio per l'alcool, mai troppo, mai troppo poco, che scioglie la parlantina, che ci avvicina.
Vi ringrazio per le risate che lasciano senza fiato, che ti rendono difficile riprendere fiato, tanto che non ne puoi più. Tanto che le cazzate stanno una dietro l'altra per non dare tregua, per non darti il tempo di riaccendere la razionalità e lasciarti pensare che sembrava ieri che pensavi a quanto vestirti per non avere freddo, domani sera, alla sfilata, e oggi è già martedì sera. E che tutto sta per sparire, come trascinato via dal vuoto d'aria che l'ultimo carro crea allontanandosi dal borghetto, risucchiato dall'energia, l'ultima, dell'ultimo arancere che si toglie la maschera, perchè è finito.
Le risate per non farti ascoltare all'infinito quel tuchino che per incitare i suoi avversari gli urla "tira tira,che domani sei a lavorare".
Ringrazio perchè questo mio modo di vivere, e descrivere il Carnevale, è eccessivo, e patetico, e romantico alla nausea, e interiorizzato troppo, troppo, ma non posso fare a meno che sia così. E anzi, a rileggerlo, non mi sembra nemmeno mai abbastanza.
E' che mi viene troppo facile guardare oltre i lividi, le casacche, le iscrizioni, gli striscioni, i cori, la sede. E mi accade perchè se tutto l'anno sono un'individualista, a Carnevale tutto ciò mi fa sentire parte di qualcosa di superiore. C'è un senso di appartenenza che non è fede, che non è tifo, che non è amicizia, che non è solidarietà. Non solo. Dev'essere quel senso di unione che si crea tra carcerati, tra delinquenti; lo stare li tutti insieme lì, a convertire le regole, a rischiare qualcosa, sapendo che la realtà è poi tutta un'altra, che la normalità della maggioranza sta altrove.
Ma che per ora, per te, è giusto così.
Ringrazio perchè a carnevale il mio mondo è tutto rosso e verde, e tutto sa di arance.
E io sto bene così. Perchè mercoledì a pranzo mi sarei rimessa la casacca per tornare in piazza, come se quello fosse il mio dovere e la mia vocazione, il mio lavoro e la mia necessità. Vi ringrazio perchè voi che siete i miei amici, a carnevale mi sembrate ancora piu amici, il divertimento è ancora piu divertimento, l'assurdo è ancora piu assurdamente bello.
Ma dura tre giorni.
Un amico mi ha detto che il carnevale è attesa, e forse si, è vero, perchè se durasse di più non sarebbe bello così, perchè se durasse di più non inizierei due mesi prima dei fatidici tre giorni a tirare fuori la casacca, a mettere da parte la busta coi soldi per l'iscrizione, che non vanno toccati, a curarmi malattie che temo mi verranno, a partecipare a cene. A bere birre e zuccherini con perfetti sconosciuti, in uno scantinato col soffitto troppo basso, solo perchè so che per tre giorni, prossimamente, saremo tutti insieme, tutti uguali, come ora siamo tali respiarndo quell'aria di attesa, che ancora non sa di nulla, ma che è bella più che mai. Nasi tesi verso l'alto, cercano nei colori delle foto appese alle pareti l'odore delle arance, che ancora non c'è.
Cercando in quello che è ora, e sempre, solo un parcheggio, le voci di una terra da difendere. Sensi immaginari si mischiano, nell'attesa, amalgamati dal contributo dell'immaginazione di tutti, nel trepidare silenzioso che serpeggia in centro a Ivrea, il sabato sera, alle sei.
Perchè se non ci fosse da aspettarlo tanto non sarei, dopo Carnevale, in giro per la mia città, a cercare disperatamente l'immagine amara di un'arancia che sta a marcire per terra, dove c'era una rete, e a cercare nell'odore di fumo, e di pioggia, e di catrame, l'ultima venatura di un aroma arancione, fredda e dolorosa, che sappia di sangue e vin brulè, colorata di verde e rosso. E che non c'è più.
Se durasse di più non ci sarebbe tutto questo.
Perchè quando passa carnevale per me è l'inizio della primavera, l'inverno non ha più senso di esistere, e perchè i conti alla rovescia si ricominciano a tenere dalla fine di quealcosa, e lo scarlo è la fine dell'inverno, è l'inizio dell'attesa per l'anno prossimo.
Ma non mi sento comunque di dire che non sarebbe bello lo stesso.
Perchè quando torna il parcheggio, in borghetto, beh, quello non è piu il Borghetto.
Uno degli amici del vicolo, guardando quel posto, un venerdì dopo Carnevale, mi ha detto che sembra "più grande e più piccolo", ora che è tornato il parcheggio, e che quando ci passa, raramente, respira un po' delle sensazioni del carnevale, anche se sono solo create dalla sua mente.
Beh per me non è così. Per me quando tornano il parcheggio, e la strada, che prendono il posto delle reti e dei carri, quello è un altro posto. Il gradino su cui si prende fiato insieme durante la battaglia è li, c'è, mi guarda, ma non è lo stesso, come non mi sembra mai lo stesso il ramo rinsecchito che sbuca dalla terra grigia a dicembre rispetto al gambo verde e pieno di foglie verdi e rose rosse che diventa a maggio. Grigio, verde e rosso.
Vi ringrazio di tutto questo. E anche se di sicuro ci sono sensazioni, citazioni, colori, musiche, persone, che ho dimenticato davvero di citare, o che ho finto di tralasciare, so che non è grave, perchè i miei interlocutori mi capiscono, sanno di cosa parlo.
E come l'odore di una spremuta bevuta a giugno, o le note di un motivo stupido, offrono lo spunto alle menti innamorate del Carnevale e dei suoi protagonisti, delle sue persone, per partire, e viaggiare, e sorridere in silenzio al solo suono di un pensiero, beh, spero che questo mio grazie vi porti da me. E non dalla me di adesso, ma da quella in casacca verde, che sta seduta sul gradino lì, dove ora è tornato il parcheggio.
Ora siete tutti liberi di andare, e farvi una spremuta. Io lo farò, ne ho bisogno.
Labor limae.
Ma alla fine nel rileggerli era sempre come se non ci fosse tutto, sempre come se fissare delle emozioni in itinere facesse perdere loro sostanza, come se fosse un obiettivo talmente utopico da lasciare una sporca traccia di pennello laddove credevi di aver dipinto un capolavoro.
E poi ho capito che miravo troppo in alto, tentando di predere il carnevale come una entità astratta, superiore, sufficiente a se stessa e descriverla, parlarci. Non ne sono capace, è troppo per me.
Abbassabndo il tiro, mi sono guardata intorno e dentro, un martedì qualunque, in un vicolo qualunque, con un qualunque bicchiere di vin brulè, insieme a due amici qualunque, con dolori e arance ovunque. Ho visto quella me che diceva loro che gli voglio un bene che va oltre l'immaginabile. Almeno per me stessa. Va oltre cio di cui credevo di essere capace, diciamo.
E mi è venuto da piangere. E tra quelle lacrime, stupide, che mentre tornavo in mezzo all'onda rossoverde potevano essere scambiate per succo di arancia che brucia gli occhi fino a non farti vedere piu nulla...ho capito.
Ho capito che il carnveale è fatto di persone, senza le quali non esisterebbe, a partire dal popolo in rivolta di due secoli fa, fino al popolo in delirio di oggi. E ho capito che tutto ciò che posso permettermi di fare -che sono in grado di fare- è parlare con queste persone. Di emozioni che capiscono, che condividono.
Di bicchieri che si condividono e di follie che si capiscono.
Di eccezioni che ci si regala perchè ci si capisce, perchè se si sovverte in noi stessi ciò che di solito è normale a carnevale ci si rende normali.perchè essere folli è l'unico modo di essere come gli altri,e di essere se stessi. Del fatto che noi siamo il popolo in rivolta, del fatto che stiamo facendo la nostra piccola, inutile, rivoluzione, per ricordarne un'altra fatta sempre da persone, anche se non come noi, anche se migliori di noi.
Vorrei ringraziarvi ad uno ad uno, amici, ma non posso, e non voglio scadere nel banale, anche se c'è il rischio che io lo abbia gia fatto.
Vi ringrazio perchè ogni anno, quando rientro in Borghetto, mi sembra di tornare a casa.
Quegli abiti strani, che si mettono una volta l'anno per tre giorni su 365, quell'odore forte che pervade tutto e tutti: le piazze, il bagno di casa, i capelli. Quelle orde di sconosciuti con le facce viola e i nasi sangunanti, i campanelli e le sensazioni aspre del vin brulè.
Queste cose sono ciò che di più famigliare mi possa accogliere.
Perchè lì mi sento al mio posto.
Perchè sento che questo è ciò che farei se fossi completamente libera di scegliere qualunque cosa della mia vita. Questi gli abiti che sceglierei, queste le persone, questi i gesti, e gli odori.
Perchè quei movimenti assurdi, dallo slancio delle braccia e delle spalle alla camminata mai stabile, mai frontale, mai comoda, che mi fa uscire fuori asse il ginocchio ad ogni passo, sono movimenti che non si fanno mai, e il giorno dopo ti fanno annegare nelll'acido lattico, ma che ritrovo sempre e comunque nel bagaglio del mio istinto.Vi ringrazio perchè sceglierei forse anche il freddo, da cui ci si nasconde tutto l'anno, ma che fa parte del gioco, e te ne puoi lamentare, ma lo puoi ignorare.
Vi ringrazio, perchè a carnevale posso essere il contrario di quello che sono tutto l'anno, ed è questo contrario che mi fa stare bene. Vi ringrazio per l'alcool, mai troppo, mai troppo poco, che scioglie la parlantina, che ci avvicina.
Vi ringrazio per le risate che lasciano senza fiato, che ti rendono difficile riprendere fiato, tanto che non ne puoi più. Tanto che le cazzate stanno una dietro l'altra per non dare tregua, per non darti il tempo di riaccendere la razionalità e lasciarti pensare che sembrava ieri che pensavi a quanto vestirti per non avere freddo, domani sera, alla sfilata, e oggi è già martedì sera. E che tutto sta per sparire, come trascinato via dal vuoto d'aria che l'ultimo carro crea allontanandosi dal borghetto, risucchiato dall'energia, l'ultima, dell'ultimo arancere che si toglie la maschera, perchè è finito.
Le risate per non farti ascoltare all'infinito quel tuchino che per incitare i suoi avversari gli urla "tira tira,che domani sei a lavorare".
Ringrazio perchè questo mio modo di vivere, e descrivere il Carnevale, è eccessivo, e patetico, e romantico alla nausea, e interiorizzato troppo, troppo, ma non posso fare a meno che sia così. E anzi, a rileggerlo, non mi sembra nemmeno mai abbastanza.
E' che mi viene troppo facile guardare oltre i lividi, le casacche, le iscrizioni, gli striscioni, i cori, la sede. E mi accade perchè se tutto l'anno sono un'individualista, a Carnevale tutto ciò mi fa sentire parte di qualcosa di superiore. C'è un senso di appartenenza che non è fede, che non è tifo, che non è amicizia, che non è solidarietà. Non solo. Dev'essere quel senso di unione che si crea tra carcerati, tra delinquenti; lo stare li tutti insieme lì, a convertire le regole, a rischiare qualcosa, sapendo che la realtà è poi tutta un'altra, che la normalità della maggioranza sta altrove.
Ma che per ora, per te, è giusto così.
Ringrazio perchè a carnevale il mio mondo è tutto rosso e verde, e tutto sa di arance.
E io sto bene così. Perchè mercoledì a pranzo mi sarei rimessa la casacca per tornare in piazza, come se quello fosse il mio dovere e la mia vocazione, il mio lavoro e la mia necessità. Vi ringrazio perchè voi che siete i miei amici, a carnevale mi sembrate ancora piu amici, il divertimento è ancora piu divertimento, l'assurdo è ancora piu assurdamente bello.
Ma dura tre giorni.
Un amico mi ha detto che il carnevale è attesa, e forse si, è vero, perchè se durasse di più non sarebbe bello così, perchè se durasse di più non inizierei due mesi prima dei fatidici tre giorni a tirare fuori la casacca, a mettere da parte la busta coi soldi per l'iscrizione, che non vanno toccati, a curarmi malattie che temo mi verranno, a partecipare a cene. A bere birre e zuccherini con perfetti sconosciuti, in uno scantinato col soffitto troppo basso, solo perchè so che per tre giorni, prossimamente, saremo tutti insieme, tutti uguali, come ora siamo tali respiarndo quell'aria di attesa, che ancora non sa di nulla, ma che è bella più che mai. Nasi tesi verso l'alto, cercano nei colori delle foto appese alle pareti l'odore delle arance, che ancora non c'è.
Cercando in quello che è ora, e sempre, solo un parcheggio, le voci di una terra da difendere. Sensi immaginari si mischiano, nell'attesa, amalgamati dal contributo dell'immaginazione di tutti, nel trepidare silenzioso che serpeggia in centro a Ivrea, il sabato sera, alle sei.
Perchè se non ci fosse da aspettarlo tanto non sarei, dopo Carnevale, in giro per la mia città, a cercare disperatamente l'immagine amara di un'arancia che sta a marcire per terra, dove c'era una rete, e a cercare nell'odore di fumo, e di pioggia, e di catrame, l'ultima venatura di un aroma arancione, fredda e dolorosa, che sappia di sangue e vin brulè, colorata di verde e rosso. E che non c'è più.
Se durasse di più non ci sarebbe tutto questo.
Perchè quando passa carnevale per me è l'inizio della primavera, l'inverno non ha più senso di esistere, e perchè i conti alla rovescia si ricominciano a tenere dalla fine di quealcosa, e lo scarlo è la fine dell'inverno, è l'inizio dell'attesa per l'anno prossimo.
Ma non mi sento comunque di dire che non sarebbe bello lo stesso.
Perchè quando torna il parcheggio, in borghetto, beh, quello non è piu il Borghetto.
Uno degli amici del vicolo, guardando quel posto, un venerdì dopo Carnevale, mi ha detto che sembra "più grande e più piccolo", ora che è tornato il parcheggio, e che quando ci passa, raramente, respira un po' delle sensazioni del carnevale, anche se sono solo create dalla sua mente.
Beh per me non è così. Per me quando tornano il parcheggio, e la strada, che prendono il posto delle reti e dei carri, quello è un altro posto. Il gradino su cui si prende fiato insieme durante la battaglia è li, c'è, mi guarda, ma non è lo stesso, come non mi sembra mai lo stesso il ramo rinsecchito che sbuca dalla terra grigia a dicembre rispetto al gambo verde e pieno di foglie verdi e rose rosse che diventa a maggio. Grigio, verde e rosso.
Vi ringrazio di tutto questo. E anche se di sicuro ci sono sensazioni, citazioni, colori, musiche, persone, che ho dimenticato davvero di citare, o che ho finto di tralasciare, so che non è grave, perchè i miei interlocutori mi capiscono, sanno di cosa parlo.
E come l'odore di una spremuta bevuta a giugno, o le note di un motivo stupido, offrono lo spunto alle menti innamorate del Carnevale e dei suoi protagonisti, delle sue persone, per partire, e viaggiare, e sorridere in silenzio al solo suono di un pensiero, beh, spero che questo mio grazie vi porti da me. E non dalla me di adesso, ma da quella in casacca verde, che sta seduta sul gradino lì, dove ora è tornato il parcheggio.
Ora siete tutti liberi di andare, e farvi una spremuta. Io lo farò, ne ho bisogno.
mercoledì 6 gennaio 2010
inizia a correre
Un giorno un uomo saggio mi mise di fronte al quadro generale. E mi spiegò che ci vuole qualcuno che ti ci metta di peso, davanti al quadro generale, quasi mai siamo in grado, autonomamente, di vederlo, e comprenderlo. Il più delle volte, soggiunse, non ci si vuole soffermare davanti al quadro generale.
Si ha paura che il quadro generale offra soluzioni. E le soluzioni sono il più delle volte semplici, banali, palesi. Sono case disegnate da bambini. Quadrato. Triangolo.
Quando non si è in grado di vedere le soluzioni è solo perchè non si è ancora stati in grado di riconoscere i problemi.
Quando non si vuole contemplare la necessaria perfezione del quadro generale è perchè questo offrirebbe soluzioni, e chi non ha ancora ammesso a se stesso l'esistenza e l'essenza dei problemi, non è pronto per le soluzioni.
Nella mia mente ci sono molte più soluzioni, che problemi. E questo è un problema.
Finchè pensi alla fitta alla milza, alle scarpe scomode, al freddo che ti taglia la faccia, le orecchie, che ti prosciuga la gola, alle ginocchia che ti si slogano affondando nella neve come in sabbie mobili..finchè pensi a tutto ciò come a possibili conseguenze dell'affrontare un problema, è perchè non stai vedendo il problema.
Finchè pensi all'affanno di una eventuale fuga, non ne vedi l'imprescindibilità.
Il problema comunque crescerà, e si avvicinerà, anche laddove tu non lo veda, o non accetti di averlo visto, o fai finta di niente. Non aspetta che tu corra, per correre.
Finchè vorrai pensare che quel fiato caldo che ti senti sul collo sia l'arrivo della primavera, non ne avrai paura. L'arrivo della primavera non è un problema, non cercherai soluzioni.
Solo quando ti accorgerai, e accetterai, di essere inseguito, inizierai a scappare. Solo allora inizierai a correre. Solo allora.
E presumibilmente non sarà troppo tardi.
Mi disse un giorno un uomo saggio.
Si ha paura che il quadro generale offra soluzioni. E le soluzioni sono il più delle volte semplici, banali, palesi. Sono case disegnate da bambini. Quadrato. Triangolo.
Quando non si è in grado di vedere le soluzioni è solo perchè non si è ancora stati in grado di riconoscere i problemi.
Quando non si vuole contemplare la necessaria perfezione del quadro generale è perchè questo offrirebbe soluzioni, e chi non ha ancora ammesso a se stesso l'esistenza e l'essenza dei problemi, non è pronto per le soluzioni.
Nella mia mente ci sono molte più soluzioni, che problemi. E questo è un problema.
Finchè pensi alla fitta alla milza, alle scarpe scomode, al freddo che ti taglia la faccia, le orecchie, che ti prosciuga la gola, alle ginocchia che ti si slogano affondando nella neve come in sabbie mobili..finchè pensi a tutto ciò come a possibili conseguenze dell'affrontare un problema, è perchè non stai vedendo il problema.
Finchè pensi all'affanno di una eventuale fuga, non ne vedi l'imprescindibilità.
Il problema comunque crescerà, e si avvicinerà, anche laddove tu non lo veda, o non accetti di averlo visto, o fai finta di niente. Non aspetta che tu corra, per correre.
Finchè vorrai pensare che quel fiato caldo che ti senti sul collo sia l'arrivo della primavera, non ne avrai paura. L'arrivo della primavera non è un problema, non cercherai soluzioni.
Solo quando ti accorgerai, e accetterai, di essere inseguito, inizierai a scappare. Solo allora inizierai a correre. Solo allora.
E presumibilmente non sarà troppo tardi.
Mi disse un giorno un uomo saggio.
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