mercoledì 21 ottobre 2009

limite

Era una giornata come tutte le altre, o per lo meno così sembrava.
Quella mattina Paul si svegliò con la ferma intenzione di cambiare la sua vita. Sono pensieri che a 15 anni vengono spesso, ma capii che stavolta faceva sul serio. Erano mesi che diceva che era stufo di sentir parlare di limiti, che non voleva più essere uno qualunque e passare giorno dopo giorno non vivendo, ma solo esistendo. Era da un po’ che diceva che avrebbe voluto diventare qualcuno, o anche solo avere uno scopo per cui vivere, non andando a scuola perché era normale che alla sua età lo facesse, o passando i suoi pomeriggi davanti all tv, sprecando il suo tempo come gli adolescenti pigri che spesso guardava con disprezzo.
Mi chiesi cosa lo avesse portato a queste riflessioni, la sua era una vita normale: scuola, amici il sabato sera, un fratello, una situazione economica agiata…E mi chiesi anche cosa avrebbe fatto. Mistero svelato quando disse che si era iscritto in una squadra di basket. Sua madre continuava a dire che alla sua età era tardi per cominciare, lei che era stata una campionessa lo sapeva bene, e che era facile a 15 anni farsi prendere dai sogni e rimanere delusi se non si riescono a realizzare. Arriverò in nazionale anche io raccontava Paul la sera agli amici tra una birra e l’altra. Io cercavo di impedirglielo, ma sapevo bene che Paul aveva una marcia in più degli altri quanto a forza di volontà. E se voleva una cosa la raggiungeva cominciando con l’abbattere i limiti mentali che diceva essere la vera rovina della nostra società. E così tutti i pomeriggi andava agli allenamenti con autobus così affollati che non gli era sempre facile prendere, con me, e arrivato a casa continuava a giocare in cortile: lui, il pallone ed io.
Quando non riusciva ad andare in palestra si allenava con i pesi a casa e intanto metteva su delle spalle invidiabili. L’allenatore diceva che aveva talento, e lui passò da riserva a titolare, dai campionati provinciali a quelli regionali, dai regionali ai nazionali. Lui, il pallone, ed io.
Era arrivato dove voleva e la sua prima partita in nazionale cadeva nel giorno del suo diciottesimo compleanno. Io lo guardavo, assistevo al momento più magico della sua vita.
Quando l’arbitro fischiò l’inizio della partita Paul mi guardò negli occhi e capì che diciotto anni prima eravamo nati insieme ma che solo uno di noi sarebbe morto quella sera. E quella sera lui avrebbe cominciato a vivere. Così mentre lui abbassava le braccia e cominciava a far girare le ruote della sua carrozzella io, il suo limite, capii di essere stato sconfitto.
E morii.
Lui, il pallone…e basta.

4 commenti:

  1. pensa che l'avevo scritto in quinta ginnasio,ovvero 5 anni fa, e sul giornalino del botta non me l'avevano lasciato pubblicare

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  2. vergognosi razzisti maledetti.

    ce l'hanno con te solo perchè sei in carrozzella.

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  3. mi dissero che non era un pezzo di giornalismo..immagine l'alto giornalismo che poteva fare il "Borbottando"

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